Riflessione domenicale 15 marzo 2020

CI È DATO IL TEMPO

Un amico in videochiamata qualche giorno fa mi ha detto che se fosse successa questa epidemia qualche decina di anni fa, la Chiesa sarebbe stata di certo più influente. Discutendone insieme siamo convenuti sul fatto che questa tesi lascia il tempo che trova e non è per nulla gravida di prospettive. In questo momento, in cui tanti cristiani sono impegnati a rispettare la “clausura” per scongiurare l’accrescimento del contagio, altri come medici e infermieri negli ospedali e altri ancora a soffrire a causa di questo virus, lo Spirito chiama particolarmente noi battezzati non ad analizzare le percentuali di azione delle istituzioni e il loro peso specifico, quanto piuttosto a confrontarci con il tema della fragilità personale e collettiva. Il vero centro di questo periodo non è il Signor Covid-19, ma il tema della malattia, della vita e della morte che trasversalmente stanno ridisegnando l’assetto della nostra società. Ecco allora che si ridefinisce anche l’interrogativo che non la “Chiesa” in genere -parzialmente intesa nelle sole figure istituzionali di riferimento- ma ciascun battezzato è chiamato a porsi: 

che cosa ha da dire per questo oggi la fede cristiana?

Ora ci è dato un tempo che ci tiene in sospeso; nessuno di noi sa fino a quando. Ci è dato un tempo in cui lo Sposo ci è tolto. Ecco che stiamo allora digiunando. 

Ritengo che sia importante abitare con dignità e con fede questo tempo, che mai come oggi percepiamo in maniera tutt’altro che neutrale: lungi dall’essere un annoiato scorrere di istanti, si rivela a noi come un tempo decisivo, in cui tutto ha uno sviluppo, tutto può maturare come tutto può corrompersi. Da sempre Dio ci ha insegnato che il deserto non è primariamente un luogo, ma un tempo che ben si presta a che Dio possa manifestarsi e rendersi presente, poiché privo di riempitivi e di ubriacature: senza fronzoli. 

Quando penso alla dignità mi riferisco al fatto che questo tempo di deserto ci chiede di vivere la pazienza -talvolta frustrante- dell’attesa e di non cedere alla tentazione di riempire questi silenzi e questi inediti orizzonti con i nostri agili dispositivi o con pensieri superficiali o miopi, che non tengono conto dell’esperienza di dolore, morte e precarietà che sta segnando le persone in prima linea, ma solo delle “limitazioni” delle nostre possibilità.

Quando penso alla fede mi riferisco al fatto che Dio sta insistentemente -come sempre- parlando alle nostre coscienze. La virtù alla quale tutti più volte in questi giorni ci siamo appellati è la responsabilità. Ritengo che debba essere messa in campo anche per il cammino di fede. È un tempo nel quale ci è chiesto di vivere la nostra fede con responsabilità, sentendoci chiamati in causa e incalzati a ritrovarne le ragioni e le convinzioni profonde, quelle a cui si giunge solo attraverso tanta preghiera e tanta Parola di Dio. Ogni messaggio, ogni testo, ogni video, ogni testimonianza che in questi giorni circolano possano servire a formulare la propria personale risposta di fede, a corroborarla; magari a metterla in discussione per poi riappropriarsene in maniera più consapevole e più vissuta. 

La fede degli altri ci aiuta; ma la fede personale ci salva (Lc 17,19: La tua fede ti ha salvato).

Questo è il tempo in cui lasciarci riconciliare con Dio, ritornare a lui e farci trovare da lui. Non deve essere stato molto diverso rispetto a quello delle nostre strade di questi giorni il clima nel quale la Samaritana del vangelo di questa domenica era uscita a prendere l’acqua: deserto, senza incontrare nessuno.

In quel deserto, in quella sua sete, la samaritana ha avuto il coraggio di lasciarsi provocare da quello sconosciuto. 

Dio viene ai nostri pozzi: dove noi abbiamo sete lui ci manifesta un’altra sete. 

Dio ha sete di dissetarci veramente, perché ci vede di pozzo in pozzo, alla ricerca di pace e di senso, desiderosi di essere uomini e donne felici.

La donna samaritana mostra che non negando, ma riconoscendo la sua condizione di creatura fragile è stata in grado di incontrare Dio.

Riconoscerci creature significa anche saper sostare sulle domande che ci interpellano, abitandole con perseveranza, facendo in modo che Dio parli alla coscienza di ciascuno. Allora, armati dei vangeli, della Parola di Dio, della preghiera, dell’insegnamento della Chiesa e del catechismo, possiamo vivere la responsabilità della nostra fede mettendo a tema in questa settimana gli interrogativi che lo Spirito ci sollecita: 

Quali domande suscitano alla mia coscienza questi giorni? Come mi provocano? 

Che cosa mi sta facendo capire il Signore in questi giorni?

Come posso vivere con fede questi giorni? 

Che cosa ha da dire per questo oggi la fede cristiana? 

A che cosa mi chiama Dio in questo tempo decisivo?

Le domande che ci interpellano sono la forma ordinaria con cui Dio, dentro la realtà, verifica la nostra disponibilità ad aprirci a una speranza più grande.

dM