Riflessione domenicale 29 marzo 2020

CI È RIDONATA LA VITA

La riflessione del Santo Padre in piazza san Pietro il 27 marzo ci ha immessi in una lettura “sapienziale” di tutto ciò che stiamo vivendo e pare che abbia intercettato nella parte più profonda della nostra coscienza il desiderio di coglierne il significato e la prospettiva di risurrezione latente in esso. Siamo nel tempo del nostro giudizio su che cosa scegliamo e su come viviamo. La preghiera di colletta di oggi ci guida sapientemente, alla luce della Scrittura, a comprendere in quale situazione versiamo: 

“[…] guarda oggi l’afflizione della Chiesa che piange e prega per i suoi figli morti a causa del peccato, e con la forza del tuo Spirito richiamali alla vita nuova. […]”.

La liturgia e il Papa ci attestano che siamo in una situazione di morte e di malattia. Tutti: non solo il “mondo malato” e gli affetti da Covid-19, ma anche i figli della Chiesa che, benché non sofferenti per via del virus, sono tuttavia morti a causa del peccato. 

Il vangelo di Lazzaro che viene proclamato in questa domenica ben ripresenta la nostra condizione di morti sepolti e maleodoranti, di fronte a Dio che piange per noi. Marta, la sorella del morto, rimprovera Gesù di non essere stato presso Lazzaro in tempo da impedire la sua morte, ma Gesù -come per il cieco nato- ci attesta che questa condizione terminale dell’umanità non è in definitiva per la morte, ma perché, come un deserto, possa venire irrigata dal fiume della grazia dello Spirito di Dio, vero datore di Vita senza fine.

A differenza di Marta, che rimprovera Gesù alla sua richiesta di aprire il sepolcro di Lazzaro, Egli non teme di affrontare il nostro cattivo odore a motivo della putredine che la nostra umanità già conosce e vive, pur dietro ai trucchi della nostra cultura dell’immagine. 

In maniera più decisa e senza equivoci siamo arrivati alla resa dei conti con la nostra idea di libertà. Dove ci ha portati la nostra sventolata libertà? È libertà quella che distrugge il mondo e gli Stati, la Chiesa e le comunità, le famiglie e le persone? Viene in mente il Deuteronomio:

15Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. 16Oggi, perciò, io ti comando di amare il Signore, tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva […] .

Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, 20amando il Signore, tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui. (Dt 30,15-20)

Nella sua crudeltà, questo tempo ci sta facendo astenere da quella affannosa rincorsa della vita prima dell’epidemia, segnata da relazioni false, ingannevoli, distraenti, libertine e volgari, vissute da noi come espressione massima della libertà, senza che ci accorgessimo di esserci dolcemente incatenati con le nostre stesse mani. In questo digiuno ci purifichiamo.

 

Anche sulla nostra fede si apre la riflessione. 

Ci sentiamo persi perché non possiamo più celebrare insieme. Ma basta questo per sentirci persi? Non è forse il segno che anche la nostra fede è un po’ come Lazzaro, “marcita”, e normalmente si accontenta di presenziare alle liturgie, ma senza alimentare la fede nel Padre e la nostra coscienza di figli portatori dell’immagine di DIo? E in questi giorni ci basta avviare un “video religioso” o guardare qualcuno che prega per vivere il proprio battesimo? Prendiamo coscienza del fatto che non ci siamo educati a raccoglierci in preghiera personalmente, a meditare la Parola di Dio e a farne il nutrimento per le nostre scelte; abbiamo dimenticato di fare esame di coscienza alla luce del vangelo, di confrontarci con Dio, perché il suo posto l’ha preso ciascuno di noi. Abbiamo perso il desiderio di sentir battere il cuore di Dio dentro il nostro; abbiamo perso di vista che noi siamo luce del mondo e sale della terra, riducendoci a essere divoratori famelici di tutto ciò che ci riempie, ma non ci sazia. 

La liturgia ci apre la mente facendoci comprendere che la causa della morte è il peccato. Se il virus compromette la vita solo superficialmente nell’ambito fisico-biologico, il peccato fa morire la nostra anima e il nostro spirito. Sorgono alla memoria le parole di Gesù: “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna (Mt 10,28). 

Solitamente è nel tempo di Avvento che si insiste molto sull’invito alla vigilanza, cioè all’attesa del Salvatore e alla preparazione di ciascuno di noi ad appianare le asperità del nostro cuore per far sì che possiamo essere uniti a Dio da un legame di fiducia; tuttavia colgo valido oggi più che mai l’invito del vangelo a fare di tutta la nostra vita terrena il preludio della grande sinfonia che sarà la vita in Dio. In altre parole, cercare di vivere la vita nuova del vangelo ora, tendere a vivere da risorti ora, avendo come nostra patria il Cielo e come Consigliere lo Spirito Santo. Il peccato, il non fidarsi di Dio e il dimenticarsi di lui ci fa morire perché non ci fa essere uomini e donne. “Allontanandoci da Dio abbiamo mancato in ogni modo”, dice Azaria nella fornace (Dn 3,29); escludendo Dio dal nostro mondo abbiamo oscurato il Sole e tutti i nostri tentativi mancano il bersaglio. 

Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui, perché il Signore corregge colui che Egli ama e sferza colui che riconosce come figlio (Eb 12,5-6). Sebbene non ci aspettiamo da Dio dei castighi come punizioni, non possiamo tuttavia ritenerci esenti da prove che saggino il nostro cuore e, verificando ciò per cui viviamo, ci aprano alla conversione. Penso che siamo chiamati a impostare la vita a seconda delle priorità che di fronte a Dio maturiamo come tali, non già in base alle emergenze che possono intervenire. 

In questi giorni percepiamo della Scrittura la capacità di fendere la nostra coscienza dolorosamente fino alle midolla, ma sappiamo che “dalla parte del manico” c’è un Padre misericordioso; perciò siamo ricolmi di gioia, anche se ora dobbiamo essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della nostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a nostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo (cfr.1Pt 1,6-7), perché Dio possa manifestarsi per ciascuno di noi come colui che, donandoci la Vita senza fine, non ci lascia perire.

dM